ITINERARIO 5

Antiche Abbazie

A ritroso verso la sorgente del fiume Pescara, percorrendo un territorio per certi versi sorprendente nel mutare delle sue caratteristiche fisiche e naturalistiche, per scoprirne poi anche l’immensa ricchezza culturale, tra natura e spiritualità. Passando dall’una all’altra sponda incontriamo le tre abbazie di Santa Maria Arabona, San Liberatore a Majella e San Clemente a Casauria, fra i più notevoli insediamenti monastici d’Abruzzo, in un territorio di grande interesse ambientale, tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e il Parco Nazionale della Maiella

Isolata su un’altura, nei pressi di Manoppello, sorge l’Abbazia di Santa Maria Arabona, tra i più significativi episodi di architettura cistercense in Abruzzo. È chiara la derivazione dalle più celebri abbazie laziali di Casamari e Fossanova, ma la nostra chiesa è davvero unica. Iniziata entro il 1208, è infatti rimasta incompiuta alla prima campata dell’aula, dando origine a un inconsueto impianto a croce. Sono preziosi gli affreschi di Antonio di Atri, la Madonna col Bambino, del 1373, e la Crocifissione, testimonianze della prima produzione del pittore abruzzese dell’ultimo Trecento. Di incerta attribuzione è la Santa con committente. Sono raffinatissimi il cero pasquale, alto circa sei metri, e il tabernacolo, un unicum in Abruzzo. Lungo il fusto del candelabro si avviluppa il tralcio di vite e sui capitelli sono raffigurati uccelli che beccano grappoli d’uva, simbolo dei cristiani che si nutrono della grazia divina. Il coro secondo il classico schema cistercense è illuminato da cinque finestre disposte a piramide e sormontate da un grande rosone.

La rivoluzione del monachesimo benedettino parte, molto prima, da San Liberatore a Maiella, dipendenza di Montecassino, tra i boschi di Serramonacesca. La chiesa, esistente già nell’856, fu riedificata agli inizi dell’XI secolo dal monaco Teobaldo, e completata dall’abate cassinese Desiderio nello stesso secolo. È prezioso l’ambone del XII secolo; sull’architrave si alternano motivi vegetali, figure animali e antropomorfe, avvolti dalle volute di un tralcio. I monaci furono al centro di un vasto fenomeno di rinnovamento economico, culturale e sociale e fu da qui che il modello costruttivo romanico raggiungerà, in terra abruzzese, livelli di grande pregio artistico. L’abate di Montecassino Bernardo Ayglerio fece realizzare nel Duecento il meraviglioso pavimento a mosaico, oggi in parte ricomposto nella navata centrale. L’opera richiama l’antico pavimento di Montecassino. Si sviluppa in riquadri, a formare diversi motivi geometrici, tra i quali si riconosce il quincunx, disegno di origine bizantina diffusosi di pari passo con lo sviluppo del gusto cosmatesco romano. All’interno spicca l’affresco cinquecentesco di un monaco che offre la raffigurazione dell’antica chiesa, con un maestoso portico e lo svettante campanile. I portali ripropongono il repertorio dei codici miniati cassinesi: particolare è l’architrave del portale destro, scolpito con due leoni affrontati, secondo un motivo di derivazione orientale. Tangente allo spigolo destro, si erge lo svettante campanile quadrato, della prima metà del 1100, privo degli ultimi due livelli.

È breve il passo per raggiungere la chiesa di San Clemente a Casauria, un’altra meraviglia medievale nel cuore dell’Abruzzo, prossima al borgo di Castiglione a Casauria. L’abbazia sorge vicinissima al fiume Pescara, dove fu edificata su una leggendaria isola, nel 871, dall’imperatore Ludovico II; fu poi rinnovata, nel tardo XII secolo, dal potente abate Leonate. Oltre il prezioso portico, è spettacolare la facciata: le sculture sull’architrave e sulla lunetta del portale centrale ci raccontano, attraverso l’immediato linguaggio della pietra, le origini dell’antica abbazia. Nella lunetta i rilievi scultorei si dispongono attorno a Papa Clemente seduto al centro della scena. Oltre le celebri porte bronzee, ogni pietra negli austeri spazi interni è permeata dell’antica sacralità. Il sapiente talento degli antichi maestri lapicidi raggiunge l’apice nel sontuoso ambone del XII secolo, che campeggia nella navata centrale; accanto è il cero pasquale, della metà del Duecento, che sorge su una base quadrata con quattro teste leonine agli angoli, caratterizzato da uno splendido decoro a mosaico, sullo stile dei marmorari romani. La cassa dell’ambone è dominata dai rilievi floreali giunti qui al più alto livello decorativo. Un patrimonio architettonico di tale rilievo sta a testimoniare quanto la nostra regione non sia stata affatto marginale e isolata, ma abbia rappresentato piuttosto un vero e proprio crocevia di scambi, commerciali e culturali, che hanno veicolato idee e artisti, favorendo lo sviluppo di una ricchezza che traspare tutta nel patrimonio architettonico diffuso, in un connubio sempre strettissimo tra natura, cultura e storia. Nello spazio absidale troviamo il quattrocentesco ciborio, a protezione dell’altare, originario sarcofago paleocristiano, che anticamente conteneva l’urna con le sacre reliquie di San Clemente. L’incanto dell’abbazia abbandonata riuscì a conquistare, sul finire dell’Ottocento, anche l’attenzione della cultura artistica nazionale, richiamando l’interesse personale di Gabriele D’Annunzio, che sposò la causa della salvezza del monastero, esposto per lungo tempo ad un totale stato di abbandono. Fu in questo clima che, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, si inaugurò a San Clemente una lunga, importante stagione di restauri.

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