Il rischio più esteso è quello della “fine della nozione stessa di monumento nella coscienza diffusa del Paese” come ribadisce Tomaso Montanari nel suo contributo al Bollettino, così proseguendo, con enfasi: “se posso farlo a pezzi, salvandone solo gli organi pregiati, vuol dire che posso uccidere quel corpo, quell’organismo vivo e unitario che chiamiamo monumento. Immaginiamo di salvare solo una torre di Castel del Monte, solo due arcate del Palazzo Ducale di Venezia, qualche pinnacolo del Duomo di Milano o dieci colonne del Pantheon: non sarebbe una morte ancor più umiliante e ingloriosa?”. Forse proprio il minor clamore che suscita la perdita di uno stadio o di una sua parte rispetto ad un monumento del lontano passato è il pesante dazio che paga l’architettura moderna, in una sostanziale assenza nella collettività degli strumenti culturali per valutare l’uno alla stregua dell’altro.
A ciò si aggiunge il fattore economico, cuore della questione legata all’emendamento: anteporre il più redditizio obbligo del consumo – perché di questo si tratta – ai valori che gli stadi veicolano e consentire ora il loro stravolgimento, produrrebbe gravi squilibri nell’assetto urbano delle città, privandole di alcuni degli esempi più validi di architettura contemporanea. La tutela di queste opere risponde infatti non solo ad una corretta azione di conservazione di beni riconosciuti di interesse culturale dallo stato, ma anche alla difesa della qualità della vita cittadina.
Ad una norma di questa portata, chi ha a cuore la tutela dei beni culturali contrappone il tema della trasformazione controllata del bene, affinché possano coesistere struttura degli stadi e necessità di adeguamento sportivo legate alle reali esigenze di sicurezza. È evidente che quest’ultimo punto è strettamente connesso alla sostenibilità economico-finanziaria del progetto e rende l’operazione di modifica assai complessa. Cionondimeno, va ribadita con forza la strada del dialogo, restituendo quanto prima agli organi di valutazione del Ministero della Cultura il loro ruolo centrale nella questione: l’operato delle Soprintendenze ha infatti riflessi sull’intera città e sui suoi luoghi di aggregazione sociale. E la componente sociale acquista ancor più rilevanza se riferita a monumenti legati all’attività sportiva, in quanto il binomio sport-bellezza è da sempre una leva potente nell’immaginario collettivo, non solo italiano.
Aldo Giorgio Pezzi